La celebre università inglese ha deciso di bloccare l’accesso ai servizi di musica in streaming a tutti i suoi studenti. Il motivo? Di certo non per le distrazioni che può regalare la musica, ma perchè la mole di dati che generava rischiava di intasare le reti dell’università. Ed ora è lecito domandarsi cosa accadrà quando anche i gestori inizieranno a mettere paletti agli utenti.Oxford ha pensato bene di chiudere il rubinetto di Spotify all’interno del suo campus perchè il consumo della banda larga stava diventando eccessivo e questo fa tornare a mente casi simili in cui università americane avevano fatto lo stesso, a suo tempo, con Napster, il precursore di tutti gli attuali servizi di Peer-to-Peer proprio per evitare l’intasamento delle proprie reti.
Napster, però, era un servizio illegale e la sua limitazione all’interno dei campus aveva una scusa “legale” per farlo, mentre Spotify è legale ed addirittura rifornito dalle stesse case discografiche. Spotify potrebbe rappresentare a tutti gli effetti il futuro della fruizione musicale. Non più download ma musica on-demand. Ma dopo la decisione di Oxford i dubbi sono molti. Riusciranno i network a sopportare un traffico dati continuo tra i dispositivi mobili? Come si poranno legalmente coloro, come Oxford, che per evitare intasamenti troncheranno l’accesso a servizi legali (e pagati)?
Oltre Oceano i segnali di un futuro in streaming sembrano sempre più evidenti: Pandora, la web radio personalizzata, sta conquistando sempre più utenti; YouTube è ormai fruìto da milioni di utenti mobili pressochè quotidianamente. Senza contare la lotta, agguerrita come non mai, tra produttori di cellulari che si sfidano a suon di megapixel sempre maggiori (con annesse connessioni sempre più facili ai social network per la condivisione di foto e video) e store online sempre più generosi di applicazioni continuamente più voluminose in termini di Megabyte.
La rivoluzione è sotto gli occhi di tutti, staremo a vedere se le strutture attuali saranno in grado di non collassare, come successo ad AT&T qualche settimana fa che si è trovata costretta a bloccare le vendite degli iPhone a causa dell’intasamento delle sue reti proprio per colpa dei melafonini.